Rispondo volentieri all’invito del “Fatto” a fare sentire la propria voce a proposito della situazione intollerabile denunciata dalla precaria dell’Università.
Io penso, semplicemente, che la generazione dei nostri giovani Colleghi stia sopportando qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto e potuto sopportare, così che il primo interrogativo che si pone è come mai essi (e con essi l’Università intera) non riescano a dare vita a momenti di ribellione.
Sui nostri Colleghi più giovani (diciamo su chi ha oggi trenta-quarant’anni) si scaricano due veri e propri crimini delle classi dirigenti italiane e dei loro Governi.
Il primo crimine – diciamo così – è generale, ed è la precarizzazione del lavoro. Hanno condannato una intera generazione a saltabeccare da un contratto a termine un assegno annuale, da una finta partita IVA a un falso tirocinio, e questo per anni o anni, senza avere mai la possibilità di respirare e, per ipotesi, di unirsi con il proprio compagno o la propria compagna, di fare figli, di maturare una pensione e, magari, anche di dedicarsi con la calma necessaria ai propri studi. Nel caso dell’Università diviene del tutto evidente il carattere pretestuoso della precarizzazione: se un contratto di insegnamento o di ricerca viene reiterato per anni e anni, allora è del tutto evidente che quel posto di docente o di ricercatore è necessario, e allora non si vede come si possa negare a chi lo ricopre di diventare di ruolo. Esiste poi un danno specifico anche per la collettività: la formazione di un docente ricercatore rappresenta anche una spesa, o piuttosto un investimento, che il licenziamento (incorporato nel rapporto precario) distrugge di continuo.
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