Due educazioni

Raul Mordenti

“Le due educazioni. Riflessione sulla didattica della letteratura nel tempo della distruzione della scuola”

Relazione al Convegno “Le “due educazioni”: insegnare lingua e letteratura a scuola”, organizzato dal Comitato Nazionale “Per la scuola della Repubblica”

(Roma, 27/1/23)

Care colleghe, cari colleghi,

ringrazio per questo invito il Comitato Nazionale “Per la scuola della Repubblica” e in particolare la professoressa Angelucci.

Credo, temo, che la mia presenza qui valga soprattutto come testimonianza per le colleghe e i colleghi più giovani di “un tempo che fu” rispetto al nostro tema, la didattica della lingua e della letteratura italiana. Parlo dunque della mia generazione di italianisti, degli anni ’80 del secolo scorso, accumulando quasi alla rinfusa ricordi e citazioni per coloro che in quel tempo non erano ancora nati o erano, come recita un po’ stranamente il sottotitolo di questo incontro, “creature piccole”.

Sono andato a rivedere per questo convegno il mio personalissimo curriculum e ho trovato ben 39 pubblicazioni dedicate alla didattica della letteratura[1], fra queste un saggio del 1983 nel vol. II, Produzione e consumo della Letteratura Italiana Einaudi diretta da Asor Rosa, almeno un paio di volumi sul tema, una Bibliografia sul dibattito in merito alla didattica della letteratura nel periodo ’82-’86 (comparsa nel “Bollettino di Italianistica” dell’allora Dipartimento di Italianistica della “Sapienza”) che ammontava a ben 40 pagine solo di titoli, e potrei continuare; e il sottoscritto non era affatto un caso isolato e meno che mai straordinario.

Al contrario: c’era un affollarsi di iniziativa e attenzione e produzione. In principio (come spesso accade) era la Francia: un memorabile colloque di Cerisy-la-Salle L’enseignement de la littérature (1969), e Roland Barthes che disse – in modo definitivo – che insegnare letteratura è difficile perché è impossibile. In Italia ricordo progetti di ricerca universitari nazionali come RIDL (Ricerca e didattica della letteratura) diretto da Annalisa Godoni, un cosiddetto PRIN (cioè Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale) finanziato dal Ministero; una vasta riflessione e sperimentazione sulle “150 ore” (che i presenti credo neanche sappiano cosa fossero); c’erano riviste dedicate come “Riforma della scuola”, “Insegnare”, “Scuolanotizie”, “Scuola e Città”, “Rossoscuola”, etc.; c’erano inoltre vitali strutture associative di docenti come il CIDI o il Centro Romano di Semiotica di Franca Mariani (ricordo un convegno alla Biblioteca nazionale di Roma con qualche migliaio di insegnanti), il demauriano GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) e il sempre esemplare MCE; c’era una fitta serie di seminari permanenti all’Università con docenti della scuola, e non solo di Lettere, anzi l’esempio per tutti noi fu il lavoro sulla Didattica della matematica che, inaugurato da Lucio Lombardo Radice, era al tempo diretto da Clotilde Pontecorvo; c’erano gli Uffici Scuola del partiti (non solo quelli di sinistra) e dei sindacati; per non dire della produzione di innovativi strumenti didattici e manuali che impegnava allora i più importanti studiosi italiani, da Remo Ceserani ad Alberto Asor Rosa, da Cesare Segre a Lore Terracini, da Romano Luperini a Franco Fortini e tanti altri.

Certo, in tanto fare furono fatti anche tanti errori, ma tutti sempre vitali e correggibili nel dibattito, come quello contro i pericoli della “logotecnocrazia” promosso da un memorabile intervento di Cesare Cases.

Un altro mondo“, per usare un’espressione che Anna Angelucci utilizza nel suo importante libro Le due educazioni (Roma, Fioriti, 2022) quando descrive l’avanzatissimo dibattito istituzionale sulla riforma dei programmi e dei curricula di quegli anni, culminato nei “Programmi Brocca” del 1988.

Un altro mondo, rispetto al “pensiero unico” che pensa e vuole la scuola al servizio della produzione capitalistica, come sua articolazione subalterna. Quel pensiero fu formalmente inaugurato dall’ingegner Giancarlo Lombardi Vicepresidente di Confindustria con delega all’Istruzione, nonché membro del Consiglio di Amministrazione del “Sole-24 Ore” e della Università privata LUISS, che fu Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Dini (19951996). Un pensiero poi proseguito, approfondito e messo in pratica anche dal suo degno successore Luigi Berlinguer, e dopo questi – senza mai alcuna differenza né di concezione né di linea operativa – dai Ministri di destra o di centrosinistra che si sono succeduti. Questo fino all’apice, o piuttosto al pedice, rappresentato dalla ministra Maria Stella Gelmini, colei che si vantò del tunnel scavato da Ginevra fino al Gran Sasso e che provvide al taglio di 8 miliardi di euro (ripeto: 8 miliardi di euro!) sulla scuola. Forse fra le due cose, dire colossali sciocchezze e operare criminali tagli alla scuola, c’è qualche rapporto?

Mi correggo subito: in base alla regola che al peggio non c’è mai fine, forse l’apice, o piuttosto il pedice, è rappresentato dall’alternanza scuola-lavoro che arriva a uccidere i nostri ragazzi, oppure (scegliete voi liberamente) da un Ministro che – senza averne alcun potere, finché vige l’art.33 primo comma della Costituzione – dètta a tutte le scuole un sillabo parafascista sulla storia nazionale e invoca la necessità che la scuola proceda alla “umiliazione” dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze.

Ma c’è di peggio (sì, c’è qualcosa di peggio anche del ministro Valditara) cioè il fatto che l’ambiente tecnologico e cognitivo, il sistema percettivo in cui siamo immersi (e i nostri ragazzi ancora più di noi) è quello del digitale, caratterizzato – per sua stessa natura – da immediatezza e rifiuto della mediazione interpersonale, dal primato dell’immagine sulla parola e della visione sull’ascolto, dal privilegiamento della superfice dell’informazione sulla profondità della conoscenza riflettuta e stratificata, dall’istante piuttosto che dal tempo lungo della storia e della tradizione. Tutto ciò si svolge in un’apparenza di libertà, ma in realtà usando piattaforme e programmi proprietari (il cosiddetto GAFAM[2] che domina il mondo, e non solo per i profitti record a cui dà luogo); questi programmi a loro volta ci usano, traggono denaro da noi, e ci sorvegliano senza che noi neanche ce ne accorgiamo, con una totalitaria pervasività che nessuna dittatura del passato ha mai conosciuto (ma questo problema meriterebbe da solo un altro Convegno).

Le insegnanti e gli insegnanti presenti sanno tutto questo meglio di me, ma quando i miei studenti universitari hanno scelto in maggioranza la DAD piuttosto che le lezioni in presenza, e soprattutto quando ho visto due ragazzi, che forse si piacevano, presenti nello stesso banco, comunicare fra loro tramite lo smartphone, invece di guardarsi, parlarsi, toccarsi, confesso che mi è corso un brivido nella schiena. E confesso anche che trovo alquanto perturbante anche il fatto che la maggioranza dei partecipanti a questo importante Convegno sia collegata da lontano e non fisicamente presente in quest’aula.

Tutto ciò – vorrei essere del tutto chiaro su questo punto decisivo – coesiste con potenzialità meravigliose dell’informatica anche ai fini della didattica e della ricerca umanistica, e non ci deve appartenere in alcun modo un atteggiamento misoneista o luddista: si tratta insomma, anche nel caso della digitalizzazione delle nostre vite, di cogliere e valorizzare ciò che c’è di buono e contrastare cio che c’è di cattivo o pericoloso.

Ma il problema nasce appunto dal fatto che le caratteristiche negative della digitalizzazione del mondo (diciamo il suo lato “cattivo”), si prestano particolarmente bene a una didattica della passività acritica e della mera esecutività, cioè alla “scuola delle competenze” e non delle conoscenze, dell’addestramento e non della formazione critica; si prestano particolarmente bene all’ignoranza, alla nuova ignoranza di massa, che la scuola come è non sa e non vuole contrastare. D’altronde la pubblicità, che domina e pervade l’intero mondo della comunicazione (politica compresa), attiva al massimo la funzione del linguaggio che, nel suo celebre schema, Jakobson definisce “conativa”, e dunque richiede per poter funzionare che sia soppressa o disattivata la funzione opposta, cioè quella “metalinguistica” della critica[3].

Insomma il pericolo, il terribile pericolo, deriva – per dir così – dal combinato disposto della digitalizzazione con la scuola di Confindustria, di Renzi e di Valditara.

Allora: come si può emergere da questo che possiamo considerare l’abisso in cui è stata precipitata la nostra scuola?

È una vecchia norma della retorica convegnistica partire dal titolo del convegno, il nostro titolo recita le “due educazioni”. Io non partirò da “educazioni” bensì da “due”. Due è un numero che mi piace davvero molto, perché allude a una alterità, a una diversità irriducibile, e due dà luogo a una collaborazione, oppure a un conflitto (entrambe, collaborazione e conflitto, sono cose buone, giuste e necessarie). Il due è l’altro (per me l’altra).

Allora il due da cui partire è anzitutto un due che allude alle classi, e alla lotta di classe. Senza tenere conto di questo, io credo che non si possa capire nulla della realtà del mondo.

Su questo problema, su questo primo due, il libro di Anna Angelucci che ho citato dice cose fondamentali e – oso dire – dovrebbe funzionare come disvelamento di verità essenziali che sono sotto gli occhi di tutti e che però tutti si rifiutano di guardare, come fece tanti anni fa la Lettera alla professoressa di don Milani[4].

Assumere questo due è necessario al nostro sguardo. La distruzione della scuola e dell’università (è ciò, né più né meno, che sta accadendo sotto i nostri occhi) si spiega solo con questo due classista, perché tale distruzione significa impedire qualsiasi vera mobilità verticale fra le classi.

Il fatto è che la borghesia italiana, questa classe terribile, miserabile e feroce, non ha alcun interesse a favorire, e neanche a consentire, che i figli e le figlie dei subalterni vengano in possesso della libertà vera; questa sta nel possesso della parola, la quale deriva anzitutto (consentitemi quest’affermazione che può suonare corporativa sulla bocca di un insegnante di letteratura) nello studio, nella conoscenza e nel godimento della letteratura.

La vera conoscenza, cioè la vera libertà, la parola, la borghesia la riserva a sé stessa e ai propri figli.

La borghesia come classe non ha nessun bisogno della scuola o, più precisamente, non ha bisogno della Pubblica Istruzione[5]: i suoi figli, se non bastasse l’educazione familiare a distinguerli dal resto, frequentano sempre meno la scuola e l’università della Repubblica e sempre più le scuole e le università private (beninteso: finanziate dalla Repubblica, alla faccia dell’art.34 della Costituzione).

Senza contare la divisione capitalistica internazionale della conoscenza, per cui i figli della vera borghesia studiano all’estero, e i più bravi fra gli altri vanno comunque a finire all’estero, così che l’Italia è quello strano e infelice paese che esporta cervelli (si dice: 14.000 laureati all’anno, il 13% dei dottori di ricerca, a cifra che arriva a oltre un terzo nelle materie scientifiche) e importa brevetti.

Vorrei introdurre – per concludere – un secondo due, cioè la differenza fra la scuola come è e come potrebbe e dovrebbe essere.

“Un altro mondo è possibile” fu lo slogan, scandaloso e fondamentale, della grande mobilitazione soprattutto di giovani, che aprì questo secolo (e che a Genova ebbe la risposta “di macelleria sudamericana” che tutti sappiamo).

Ebbene un’altra scuola è possibile, e necessaria. Una scuola capace, ove necessario, anche di contrastare lo spirito del tempo, si portare riflessione umana dove c’è passività meccanica, approfondimento dove c’è superficialità, bellezza dove c’è abbrutimento, libertà dove c’è una nuova schiavitù dell’inconsapevolezza, la speranza contro la catastrofe (ambientale, sociale, atomica) a cui il capitalismo globale in crisi ci sta avviando.

È accaduto in altre epoche della storia: una società, uno Stato (ammesso che in Italia esista ancora uno Stato) può decidere di affidare a un suo organo dei compiti socialmente necessari, anche contro la spontaneità della situazione che comporta la catastrofe. Anzi forse la scuola, la cultura (e il suo nucleo vitale che è la critica) ha operato sempre così.

I monaci medievali che conservavano e tramandavano la cultura antica erano certo controcorrente, contro la spontaneità della barbarie, ma in fondo hanno vinto loro. Come in fondo hanno vinto gli umanisti banditi dalla Controriforma, o gli Illuministi perseguitati dal potere.

Le università, compresa la nostra – fino alle “riforme” capitalistiche di cui abbiamo parlato – hanno continuato nominalmente a vivere nella scia del modello humboldtiano (dal nome del fondatore dell’Università di Berlino: 1810). Si fondò allora, per iniziativa dello Stato, un’università che coniugava ricerca e didattica nel nome del progresso della nazione e il cui scopo era superare il sistema feudale vigente per trasformare i sudditi della Prussia ancien régime in cittadini.

Anche la scuola del ministro De Sanctis era esplicitamente controcorrente rispetto alla società italiana del suo tempo, fatta di analfabetismo e superstizione; pur se fra mille difficoltà e ritardi, in un certo senso quella scuola della nuova Italia unitaria vinse. E hanno vinto, in tempi più recenti, anche Gramsci o Primo Levi contro il fascismo.

In esplicita opposizione contro la spontaneità del suo tempo, il tempo della fine dell’impero romano e dell’incombente barbarie, Severino Boezio (475-525) concepì l’ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele (che voleva anche dire aritmetica, geometria, astronomia, logica e soprattutto musica), e lo fece sotto il regno ostrogoto di Teodorico, che lo imprigionò e lo mise a morte. Ma le conseguenze della folle idea di Boezio furono incomparabili. Vinse Boezio.

Credo che in questi tempi di “ritornata barbarie” anche noi dovremmo cominciare a pensare a tanti “collettivi Severino Boezio”, lanciati dai docenti con i loro allievi migliori, che magari un giorno si collegheranno fra loro per costruire la nuova scuola ma che intanto procederanno ostinati, controcorrente, a fare della nostra scuola una scuola, nonostante tutto.

Roma, 27-28 gennaio 2023 Raul Mordenti

Allegato 1: Elenco delle pubblicazioni Raul Mordenti sulla didattica della letteratura (cfr. www.raulmordenti.it)

-1) Didattica della storia e 150 ore, in “Riforma della scuola”, a. XXII, n.12 (dicembre 1976), pp. 60-61 (in collaborazione con D. Singer).

-2) Sulla letteratura come materia di insegnamento, in “Scuolanotizie”, a.XII (dicembre 1979), pp. 16-21.

-3) Il rettangolo della letteratura poggia su un circolo vizioso, in “Rossoscuola”, a.V, n.15 (gennaio-maggio 1983), pp. 8-9.

-4) In fascia lo studente impara meglio, in “Rossoscuola”, a. V, n. 16 (giugno-settembre 1983), pp.14-15.

-5) La fascia propedeutica: dati e considerazioni da un’inchiesta fra gli studenti, Roma, Dipartimento di Italianistica, 1983 (in collaborazione con S. Beltrami).

-6) Come si fa una relazione, in “Bollettino CGIL. Dipartimento di organizzazione”, 9 (gennaio-marzo 1983), numero monografico Problemi della conduzione didattica dei corsi: la comunicazione, pp. 63-67.

-7) La comunicazione verbale orale. Bibliografia minima, Ibidem, pp.70-74 (in collaborazione con Paola Cerretti).

-8) La letteratura come materia di insegnamento: fra aggiornamento e riforma, in Letteratura italiana diretta da A. Asor Rosa, vol. II, Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 999-1013.

-9) Una proposta universitaria, in F. Mariani (a cura di), Letteratura: percorsi possibili, Ravenna, Longo, 1983, pp. 144-158.

-10) La sperimentazione impossibile…, in Ricerca Interuniversitaria sulla Didattica della Letteratura, Letteratura ex cathedra, Roma, La Goliardica, 1984, pp. 58-82.

-11) Introduzione a Curriculum e sequenzialità nell’insegnamento della letteratura, in * Fare e sapere letterario: il teatro della didattica…, a cura di C. Bartoccioni, M. Camboni, S. Del Lungo Luzzi, A. Gnisci, A. Goldoni, R. Mordenti, 2 voll., Roma, Carucci, 1986, vol. I, pp. 305-319.

-12) Il dibattito sulla didattica della letteratura in Italia (1982-1986), in “Bollettino di Italianistica”, a.III (1985), fasc.1/2, pp. 20-60.

-13) Procedure e strumenti di programmazione e verifica dell’attività didattica da parte dei Consigli di Corso di Laurea (relazione presentata al Seminario dei Consigli di Corsi di Laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”, il 19 aprile 1985; ciclostilato).

-14) Università senza progetto, in “Rossocuola”, a.VIII, n.30 (aprile 1986), p. 3.

-15) Il Decameron: una lettura tra semiologia e filologia, in F. Gnerre-F. Mariani-R. Mordenti-C. Sibona, Il testo ritrovato. Forme poetiche e classici a scuola, a cura di F. Gnerre, Ravenna, Longo, 1987, pp. 43-72.

-16) Boccacciano Vs boccaccesco, in “Insegnare”, a. IV, nn. 7-8 (luglio-agosto 1988), pp. 53-54.

-17) Sulle tracce di Pietro Mandrè: un’esperienza di edizione critica “di massa”, in * La poesia indifesa, a cura di P. Bono e E. Dal Fabbro, Roma, Carucci, 1989, pp. 91-103.

-18) Le forme letterarie nella storia, 2 voll., Torino, SEI, 1990 (in collaborazione con F. Mariani e F. Gnerre).

-19) Il romanzo e l’indice della mano destra, in R. Mordenti – M. Giampietro (a cura di), L’utilizzazione didattica dei testi narrativi, Roma, Carucci, 1990, pp. 25-42.

-20) Appunti sui silenzi danteschi, in * Silenzio cantatore, a cura di V.M. De Angelis e A. Goldoni, Roma, Euroma-La Goliardica, 1996, pp. 67-88.

-21) Letteratura italiana. Storia e testi, 3 voll., Torino, SEI, 1996 (in collaborazione con F. Mariani e F. Gnerre).

-22) Il senso del testo, in “Testo & Senso”, n.1 (1998), Filologia Letteratura Linguistica, a cura di A. Gianquinto e R. Mordenti, pp.7-12.

-23) Didattica della letteratura italiana, Roma, Euroma-La Goliardica, 1997.

-24) Semiotica e storia letteraria, in * Letteratura, semiotica e didattica, Atti del Convegno Università di Roma ‘Tor Vergata’ 3-4 aprile 1998, a cura di R. Scrivano e F. Pierangeli, Manziana, Vecchiarelli, 1999, pp. 15-26.

-25) Sui “Tag” metropolitani e la tradizione (dis/correndo con Derrida sull’orlo dell’insignificante), in * Studi in onore di Emerico Giachery. Offerti dalla Università degli Studi Roma II ‘Tor Vergata’, a cura di F. Pierangeli, Manziana, Vecchiarelli, 2001, pp.147-161.

-26) L’insegnamento della letteratura e il concetto di storia: diacronia e sincronia, in: Cidi di Roma, Che cosa fare della letteratura? La trasmissione del sapere letterario nella scuola, a cura di Dorotea Medici, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 85-96.

-27) Per una semiotica della pace, in * Culture per la pace, a cura di G.I. Giannoli, S. Morante, R. Mordenti, P. Quintili, Roma, Manifestolibri, 2003, pp. 73-90.

-28) La didattica della letteratura di fronte alla rivoluzione informatica, in * Didattica della lingua e della letteratura italiana, a cura di L. Begioni – C. Cazalé Bérard – G. Gerlini, Paris, CIRRMI – Université de la Sorbonne Nouvelle Paris III, 2003, pp. 31-50.

-29) Letteratura oggi: Vent’anni dopo o Il visconte di Bragelonne?, in * Letteratura: percorsi possibili. Vent’anni dopo. Dedicato a Franca Mariani, Atti del Convegno del CRS-CIDI, Roma, 25-26 febbraio 2002, a cura di F. Luotto e M. Scognamiglio, Udine, Edizioni Goliardiche, 2003, pp. 9-22.

-30) Ipotesi di intervento per contrastare il fenomeno dell’abbandono, in * Il problema dell’abbandono degli studi universitari: dati e riflessioni a partire da un’inchiesta, Roma, Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’- Corso di Laurea in Lettere/Progetto CampusOne, 2003, pp. 20-27.

-31) La cultura italiana e la crisi della modernità, in * La cultura italiana. Ricerca, didattica, comunicazione, Atti del Convegno Internazionale delle Università di Paris III e Paris X (Paris, 16-18 ottobre 2003), a cura di L. Begioni – C. Cazalé Bérard – G. Gerlini, Paris, CIRRMI – Université de la Sorbonne Nouvelle Paris III, 2005, pp. 21-38.

-32) La letteratura e la didattica dell’alterità, in * Perché la letteratura? Atti del Convegno di studi (L’Aquila, 19-20 maggio 2005), a cura di Raffaele Morabito, Manziana, Vecchiarelli, 2006, pp. 55-67.

-33) Memoria e scrittura, in * Mémoire des textes. Textes de mémoire, Textes réunis par Claude Cazalé Bérard, Paris, Presses Universitaires de Paris 10, 2007, pp. 27-49.

-34) Insegnare a leggere e a scrivere nell’epoca del computer, in “Treccani ScuolaNewsletter”[21/10/2008]

(http://www.treccani.it/Portale/sito/scuola/in_aula/lingua_e_letteratura/A_cosa_serve_la_letteratura/mordenti.html).

-35) La letteratura del mondo nella scuola italiana, in “Treccani.it”. Dossier “Comparare e confrontare”[aprile 2010]

(http://www.treccani.it/Portale/sito/scuola/dossier/2010/comparatistica/mainArea.html).

-36) R. Mordenti, L’altra critica. La nuova critica della letteratura tra studi culturali, didattica e informatica, Roma, Editori Riuniti University Press, 2013.

-37) Intervista sulla letteratura, in “Italianistica & Internet” (rivista on line della Università Federale di Rio de Janeiro, Brasile)

http://www.italiano.letras.ufrj.br/index.php?option=com_content&view=frontpage&Itemid=1

-38) Bibliografia Generale sulla lettura per la Ricerca PRIN (in collaborazione con Francesca Vannucchi, Elisabetta Orsini e Antonio Perri), [(a) Per una storia della scrittura/lettura e del passaggio dal manoscritto al dattiloscritto; (b) Sul rapporto tra scrittura e corpo: dalla dicotomia oralità vs scrittura agli apporti della psicologia e delle neuroscienze; (c) Informatizzazione del testo, teoria del testo e della letteratura; (d) Critica letteraria, sociologia, biblioteconomia come strumenti per l’analisi del processo di scrittura/lettura (e) Il copyright e la storia del diritto d’autore] in “Testo e Senso” on line, n.11 (2010) http://testoesenso.it/article/view/3/8

-39) Per una scuola di resistenza fondata sul dialogo interculturale e sulla critica, in “Between”, vol. II, n.6 (2013). “Insegnamenti. Per gli ottant’anni di Remo Ceserani”,

http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/1034/782

  1. Vedi l’elenco delle pubblicazioni di Mordenti relative alla didattica della letteratura nell’Allegato 1.
  2. L’acronimo sta per le principali aziende (tutte statunitensi) di questo sistema: Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft.
  3. La funzione “conativa” concentra il messaggio sul destinatario, quella “metalinguistica” sul messaggio stesso. Mi sia consentito per l’articolazione di questo ragionamento il rinvio a: R. Mordenti, L’altra critica. La nuova critica della letteratura tra studi culturali, didattica e informatica, Roma, Editori Riuniti University Press, 2013, pp.187-188.
  4. Mi permetto di dire che mi appare del tutto infondata la velata polemica di Angelucci contro don Milani che sarebbe stato colpevole di aver sacrificato la letteratura alla lingua, senza considerare che si trattava di ragazzi nella fascia scolastica dell’obbligo.
  5. Non a caso essa ha proceduto perfino al cambio del nome del Ministero, da cui è sparito il determinante aggettivo “pubblica”.

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