(ovvero: come in Italia è possibile dis-eleggere 5 consiglieri Regionali del Lazio ed eleggere al loro posto altri 2 con una sentenza “errore giudiziario”)
Nemmeno i cittadini o i compagni più informati sanno bene che cosa è successo nella scorsa legislatura regionale e come mai Mordenti, che era stato eletto Consigliere regionale, ad un certo punto, dopo nemmeno un anno, si ritrovò a non essere più Consigliere regionale.
Molti hanno potuto pensare ad un nuovo conteggio dei voti, altri hanno confuso questa vicenda con il ricorso presentato da Michelini contro Badaloni (che invece, almeno in apparenza, non c’entra niente).
In realtà la disinformazione è stata (una volta di più!) assoluta e la vicenda è talmente incredibile che questa mancanza di informazione forse non è affatto casuale.
Ci sembra dunque opportuno raccontare questa vicenda e cercare di fare, con i nostri poveri mezzi, quello che stampa e televisioni evitarono con cura di fare, cioè informare, su una vicenda che riguarda la stessa democrazia, se è vero come è vero che una “strana” sentenza ha cambiato in modo sostanziale la volontà degli elettori del Lazio, portando alla “diselezione” di ben 5 Consiglieri regionali che erano stati regolarmente eletti (oltre a Mordenti, Tola e Pacitto del PDS, De Lillo di Forza Italia, Temperini di AN) ed alla “elezione” al loro posto di 2 altri che non erano stati affatto eletti (Renzi del PRI e Pizzutelli del PSDI).
La questione è un po’ complessa e chiediamo al benigno lettore di seguirci con un po’ di pazienza: essa non riguarda affatto eventuali errori o brogli nel conteggio dei voti (questione sollevata da Michelini, e poi rivelatasi infondata), ma riguarda il modo con cui i voti vanno conteggiati ed i seggi assegnati.
La cosa funziona così (o meglio: ha funzionato così in tutte le Regioni italiane…tranne il Lazio!):
a) si valuta se un partito ha raggiunto, oppure no, il quorum minimo di voti richiesto dalla legge elettorale per poter concorrere all’assegnazione dei seggi; la legge elettorale per le regionali fissa tale quorum al 3% dei voti; chi ne ha di meno, se non è collegato ad altre liste, non conquista nessun seggio.
b) Poi si fa la somma di tutti i voti validi e la si divide per 60 (il numero dei seggi da assegnare); in tal modo si ottiene un numero, che si definisce “quoziente” (o “quoziente pieno”), cioè il numero dei voti che corrispondono ad un seggio. c) Il totale dei voti di ciascun partito viene diviso per questa cifra-quoziente, e si ottiene così il numero dei seggi che spettano a ciascun partito. Ogni partito, insomma, ha tanti seggi quanti “quozienti pieni” presenta la somma dei suoi voti.
d) Ma poiché in tal modo non si arriva ad assegnare tutti i 60 seggi, si ricorre ai “resti”, cioè ai voti che per ciascun partito “avanzano” dopo aver assegnato o seggi sulla base dei “quozienti pieni”. I seggi restanti vengono assegnati ai partiti che hanno i “resti” più alti.
Tutto chiaro? Speriamo bene.
Il problema sollevato dal ricorso del PRI del PSDI era il seguente: i voti riportati dalle liste che non avevano raggiunto il quorum richiesto dalla legge elettorale per accedere ad un consigliere (Rauti, Pannella, etc.) andavano, oppure no, conteggiati per determinare il quoziente?
In tutte le Regioni italiane, meno il Lazio, la Magistratura decise di no, in base ad un principio elementare di democrazia che vale anche nel conteggio dei voti per le elezioni politiche. Il principio suona così: è possibile escludere dall’assegnazione dei seggi delle liste che non hanno raggiunto il quorum minimo fissato, ma allora questi voti non debbono pesare in alcun modo nell’assegnazione dei seggi; insomma il mio voto può anche non eleggere un Consigliere del mio partito, ma non è assolutamente giusto che esso sia usato per eleggere un altro Consigliere di un altro partito. Uno può votare per Rauti o per Pannella, e non riuscire ad eleggerli se non raggiunge il quorum minimo richiesto dalla legge, ma non è giusto che si ritrovi ad aver eletto, con quel voto, Pizzutelli o Renzi o chiunque altro!
E infatti, in tutte le Regioni italiane, di fronte ad analoghi ricorsi, i TAR decisero che i voti delle liste che non avevano raggiunto il quorum non dovevano essere conteggiati. Non a caso la stessa modulistica predisposta dal Ministero dell’Interno per il conteggio dei voti dava torto ai ricorrenti, così come la legge elettorale tedesca (a cui la legge elettorale per le Regioni si ispirava). In tutte le Regioni, dunque, i ricorsi furono respinti; in tutte meno una. Nel Lazio, e solo nel Lazio, il TAR decise diversamente. Chissà perché.
La questione non è secondaria, perché se si contavano anche i voti di Pannella, Rauti etc., il “quoziente” si alzava, se il “quoziente” si alzava, i “resti” di conseguenza diminuivano. In tal modo gli ultimi due “resti” di Forza Italia e di AN (De Lillo e Temperini) diventavano minori dei voti del PRI e del PSDI, e dunque risultavano eletti Renzi (PRI) e Pizzutelli (PSDI) al posto di De Lillo (FI) e Temperini (AN).
Si chiederà il benigno Lettore: ma che cavolo c’entravano Mordenti (PRC) e Tola e Pacitto (PDS), e perché mai sono stati diselettti anche loro, oltre e De Lillo e Temperini? C’entravano, perché i due ricorrenti erano del PRI e del PSDI, due partiti collegati a Badaloni, e poiché la maggioranza di Badaloni non poteva avere più del 60% dei seggi, eleggendo quei due venivano …diseletti altri tre della maggioranza per mantenere il rapporto 60/40% fra maggioranza ed opposizione in Consiglio regionale.
Si noti che con la sentenza del TAR veniva comunque mutato profondamente l’assetto politico uscito dalle urne: Rifondazione, con il 9,2% dei voti passava da 6 a 5 Consiglieri, e non era più determinante per la maggioranza in Consiglio regionale. Il PRI e il PSDI, con l’1,1% dei voti passavano da 1 a 2 seggi ciascuno. Cambiava anche la composizione della Giunta regionale e quella delle Commissioni consiliari permanenti.
Dopo la sentenza del TAR del Lazio i 5 consiglieri diseletti ricorsero al Consilgio di Stato, mentre in Parlamento era stata presentata una leggina di interetazione autentica della legge elettorale, firmata dai capigruppi di tutti i Partiti, che dava torto ai ricorrenti e ragione a Mordenti ed agli altri quattro diseletti. La leggina in questione, dopo essere stata varata senza opposizioni dalla Commissione affari costituzionali (presieduta dall’On. Rosa Russo Jervolino), arrivò in aula proprio alla vigilia della riunione del Consiglio di Stato, ma il voto (che sarebbe stato scontato) fu “rinviato” sine die su propsta dell’on. Mastella, Presidente di turno in quella seduta. Così il Consiglio di Stato confermò la “stramba” sentenza del TAR del Lazio.
Ma il “bello” (diciamo così) di questa strana storia, comincia ora. Applicando la legge nel modo con cui era stata applicata nel Lazio, sarebbe risultato eletto, in Liguria, un consigliere regionale in più per Rifondazione Comunista. Il Consiglio di Stato dette torto a quel ricorso.
Dunque una stessa legge elettorale veniva interpretata ed applicata in due modi diversi dallo stesso organo, il Consiglio di Stato, con una sola “costante”: in tutti e due i casi veniva tolto un seggio a Rifondazione Comunista!
Così il Consiglio di Stato si riunì a Sezioni riunite, in Adunanza Plenaria, il 10 luglio del 1997 e deliberò definitivamente sulla questione con la sua sentenza. In quella sede, la massima del nostro ordinamento giuridico amministrativo, fu definitivamente sancito che la legge elettorale andava interpretata come Mordenti e gli altri quattro diseletti sostenevano, cioè che i voti dei partiti che non avevano raggiunto il quorum non possono essere computati:
Citiamo da quella sentenza:
“Ad avviso del Collegio le argomentazioni e le considerazioni logico-giuridiche che sorreggono, nel quadro di una interpretazione sistematica del complesso normativo vigente, la tesi della non computabilità dei voti riportati dalle liste che non hanno superato lo sbarramento del 3% sono fondate e meritevoli di accoglimento.”
Dunque, dirà l’ignaro Lettore, Giustizia è stata fatta, e Mordenti e gli altri dis-eletti sono stati finalmente ri-eletti? Niente affatto perché il Consiglio di Stato in Plenaria non ha potere di “cassazione” (cioè di cancellazione), e la sentenza vale solo per il futuro; per il passato….”iustum quia iudicatum” (“giusto perché giudicato”), cioè non c’è stato modo di cancellare una sentenza che è stata, ufficialmente e solennemente, proclamata un “errore giudiziario”.
Così la Regione Lazio ha avuto una composizione determinata da un “errore”: 5 Coniglieri, fra cui un Assessore (Vittoria Tola, PDS) e un Presidente di Commissione (Mordenti, PRC) sono stati dis-eletti “per sbaglio”, due consiglieri (di cui uno fu eletto assessore) sono stati eletti … per sbaglio.
Per sbaglio?
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