“Il canto decimo dell’Inferno” di Antonio Gramsci

(Seminario dell’IGS-Italia sul Quaderno 4, Roma, 8 marzo 2013)

L’intervento completo a cura di Raul Mordenti è disponibile in pdf

1. Una “lunga fedeltà” a Dante
Nella prima lettera scritta da Gramsci dopo l’arresto (alla sua padrona di casa Clara Passarge) e mai pervenuta perché trattenuta dalla censura carceraria, Gramsci chiedeva di ricevere in prigione due libri di sua proprietà (specificando dove essi si trovassero in casa): una grammatica tedesca1 e il Breviario di linguistica scritto dal suo maestro universitario di Glottologia (il suo unico trenta e lode) Giulio Bartoli, assieme al filologo Giulio Bertoni; egli aggiungeva infine in questa primissima lettera la richiesta di ricevere un terzo libro, questo però non di sua proprietà ma da acquistarsi per lui:
(…) 3° gratissimo le sarei [e ci sembra quasi di sentire qui il suo accento sardo, con l’anticipazione del predicato nominale rispetto al verbo NdR] se mi inviasse una Divina Commedia di pochi soldi, perché il mio testo lo avevo imprestato. (LC, p. 3)
Dunque la Divina Commedia è un libro (si noti: l’unico libro) di cui Gramsci sembra non poter fare a meno, al punto da rivolgersi (lui così riservato e pieno di complimenti) a una semi-estranea chiedendole senz’altro di comprarlo per lui. Si noti ancora: per Gramsci non conta qui l’edizione, conta solo che sia una Divina Commedia e che egli possa tenerla con sé e leggerla, anche in carcere.
Si tratta di quella che potremmo definire (parafrasando Contini) “una lunga fedeltà” di Gramsci a Dante, giacché Gramsci parla di Dante e cita Dante fin dagli anni del suo primo impegno politico-giornalistico e poi dell’“Ordine Nuovo” (una rassegna sistematica, che sarebbe da fare, esula dai limiti di questa comunicazione che necessariamente si concentrerà sul Gramsci del carcere e su quella che mi pare giusto chiamare “l’opera del carcere”, cioè i Q e le LC da leggersi sinotticamente nella loro fitta tama di rinvii).[…]

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