La proposta illiberale di chi non sa cosa sia l’antisemitismo

Raul Mordenti

La proposta illiberale di chi non sa cosa sia l’antisemitismo

Il senatore Maurizio Gasparri (il quale ha proposto di proibire per legge e punire le critiche a Israele e al sionismo considerandole anti-semitismo) dell’argomento anti-semitismo dovrebbe intendersene parecchio.

Egli infatti, prima di essere fulminato sulla via di Damasco/Arcore e di abbandonare il MSI-AN per Forza Italia, è stato per decenni esponente di spicco di un partito che aveva per segretario un redattore del giornale antisemita “La difesa della razza”, che rivendicava l’eredità della Repubblica di Salò, che annoverava fra i suoi dirigenti personaggi i quali agli ordini di Hitler avevano partecipato ai rastrellamenti e alle deportazioni degli ebrei italiani. Chi ha combattuto nei movimenti i giovani neofascisti negli anni ’60 e ’70 può testimoniare quanto antisemitismo ci fosse tra loro.

Ora costui ci viene ad insegnare che cosa sia l’antisemitismo e come esso si identifichi con ogni critica a Israele e al suo Governo che andrebbe dunque punita. Silvia Truzzi, sul “Fatto” del 9 ottobre, ha già argomentato il carattere anticostituzionale e le conseguenze illiberali di ciò che Gasparri propone. Ma forse è bene aggiungere qualche dato.

Come base della sua proposta il senatore Gasparri usa una definizione di antisemitismo dall’IHRA (Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto) del 2016 che si concentrava solo sullo Stato di Israele, ma quella definizione è stata smentita dalla ben più prestigiosa e fondata “Dichiarazione di Gerusalemme” (2020) firmata da 210 illustri intellettuali e studiosi della Shoà (fra i quali Carlo Ginzburg, Sergio Luzzatto e Abraham Yehoshua).

La “Dichiarazione di Gerusalemme” definisce con rigore storico l’antisemitismo, fa esempi di antisemitismo diretto o indiretto (fra questi: “Applicare simboli, immagini e stereotipi negativi”, “Ritenere gli Ebrei collettivamente responsabili per la condotta di Israele, o trattare gli Ebrei, semplicemente perché Ebrei, come agenti di Israele”, etc.), e cita comportamenti che invece non sono antisemiti. Nella “Dichiarazione di Gerusalemme” si legge fra l’altro che non è espressione di antisemitismo “sostenere la richiesta palestinese di giustizia e la piena concessione dei loro diritti politici, nazionali, civili e umani”, né “criticare o opporsi al sionismo come forma di nazionalismo”, né “la critica, basata sull’evidenza, di Israele come Stato”. “Non è antisemitismo denunciare la discriminazione razziale sistematica”, e più in generale, non è antisemitismo richiedere “le stesse norme di dibattito che si applicano ad altri Stati e ad altri conflitti per l’autodeterminazione” e così via (invito tutti e tutte, a cominciare dal sen. Gasparri, a leggere e meditare la “Dichiarazione di Gerusalemme”).

Esiste una vasta tradizione di critica alle politiche dello Stato di Israele, e allo stesso sionismo, che rappresenta una gloria intellettuale della diaspora ebraica (e che evidentemente l’ex-missino ignora).

Marek Edelman (1919-2009) l’eroico capo della rivolta del Ghetto di Varsavia espresse in molteplici occasioni forti condanne della politica dello Stato di Israele schierandosi a difesa del Palestinesi. Egli scrisse: “Abbiamo combattuto per la nostra vita. Ci muoveva una determinazione disperata, ma le nostre armi mai sono state dirette contro civili inermi. Abbiano lottato per la sopravvivenza della comunità ebraica, non per un territorio né per un’identità nazionale. Per me non esistono un Popolo Eletto né una Terra Promessa.” Edelman non volle mai trasferirsi in Israele.

Edelman era antisemita?

Un’importante lettera del 2 dicembre 1948 firmata da autorevoli esponenti della diaspora ebraica (fra i quali Albert Einstein e Hannah Arendt), in occasione della visita negli USA di Menachem Begin, definisce il suo partito (poi Likud, il partito anche di Shamir, Sharon e oggi di Netanyahu): “un partito politico che nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista”. A suscitare l’indignazione di Einstein e degli altri sono dei fatti: “È nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate che possiamo giudicare ciò che farà nel futuro”, e in particolare fa orrore ai firmatari uno dei tanti episodi che condussero alla Nakba, l’esodo forzato dei Palestinesi, cioè la strage del villaggio arabo di Deir Yassin.

Einstein e gli altri firmatari erano antisemiti?

E una critica meditata alla politica dei Governi di Israele, è venuta anche da Primo Levi, il quale, in occasione della strage di Sabra e Chatila nel 1982 si fece promotore in una raccolta di firme di protesta contro Sharon, responsabile di quel massacro. In un’intervista a Gad Lerner (sull’ “Espresso” del 30 settembre 1984) Levi affermava: “Credo che sta a noi, ebrei della Diaspora, combattere. Ricordare ai nostri amici israeliani che essere ebrei vuol dire un’altra cosa. Custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza. (…) Ci ho meditato a lungo: il baricentro è nella Diaspora, torna a essere nella Diaspora. (…) Credo che la corrente principale dell’ebraismo sia meglio preservata altrove che in Israele”.

Primo Levi era antisemita?

Edelman, Einstein, Arendt, Levi e le migliaia di ebrei e non ebrei che in tutto il mondo sono scesi in piazza contro Netanyahu incorrerebbero nei rigori della legge promossa dal sen. Gasparri.

RM

Roma, 10 10 2025

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