Il Dante di De Sanctis

Raul Mordenti

Il Dante di De Sanctis

(pubblicato in “Il Manifesto”, supplemento “Attraverso Dante”, 24 marzo 2021, pp. 2-3)

De Sanctis non scrisse mai nel corso della sua vita il libro su Dante che aveva promesso, e si era ripromesso, tante volte (anche se le lezioni e i saggi danteschi sono stati poi raccolti in volume). Ma non c’è autore a cui De Sanctis si sia dedicato come a Dante, il quale ha costituito per il critico irpino un modello, sia poetico-letterario e sia etico-politico (con evidenti risvolti anche personali, come accade quando si istituisce e si assume, con tanta convinzione, un modello).             

Intorno a Dante e su Dante si costruisce il “paradigma desanctisiano”, cioè il disegno rilevatissimo che rappresenta la vera ratio costruttiva della sua Storia della letteratura italiana (1870-72). In tale disegno Dante non rappresenta solo il punto più alto della nostra letteratura (a cui segue una lunga decadenza, culminata nel Seicento di Marino e avviata a una faticosa “ripresa” solo nel XVIII secolo), ma soprattutto quel nesso vivente fra poeta e popolo/nazione, che De Sanctis vede in Dante, costituisce il criterio per ogni giudizio di valore: la nostra letteratura è grande quando quel nesso è operante (e in Dante lo è al massimo grado), si avvia invece alla decadenza (alla “corruttela”) quando tale nesso è infranto o rinnegato. Ciò comincia ad avvenire per De Sanctis già col Petrarca (“più artista che poeta”) o con il “tranquillo” Boccaccio, facendo toccare alla letteratura italiana i punti più bassi nei secoli della Controriforma, della poesia ridotta a mera musicalità, dell’aborrita Arcadia. La “linea della ripresa”, preannunciata da Machiavelli (ma non da Guicciardini!) e da Galileo, e poi da Parini e Alfieri, si manifesta finalmente con Leopardi e Manzoni, ricollegandosi (non certo per caso) al Risorgimento nazionale.

Non è questa la sede per discutere la fondatezza di tale paradigma desanctisiano (sottoposto a critiche da più parti), più interessante notare che l’assunzione della centralità esemplare di Dante è meno ovvia di quanto oggi possa sembrare. È infatti esistito (a smentita di chi considera il valore della poesia perenne, assoluto e astorico) un lungo misconoscimento critico di Dante, che durò alcuni secoli e culminò nella condanna radicale di Saverio Bettinelli (1718-1808), un gesuita illuminista (fu anche in contatto con Voltaire), il quale aveva ben due motivi per rifiutare Dante: il sospetto per l’eresia del Fiorentino e il disdegno per l’ineleganza medievale della Commedia.

Con la temperie romantica (e con Foscolo) le cose cambiano, e De Sanctis accompagna con la sua costante attività critica e didattica quella che per lui sarà “l’età di Dante”. Comincia a dedicarsi a Dante già dal 1838-41 alla scuola di Puoti; dopo il ’48 e i trentatre mesi di carcere a Castel dell’Ovo, De Sanctis esule a Torino camperà di apprezzatissime conferenze e di corsi danteschi dal ’53 al ’55; i corsi al Politecnico di Zurigo, dal gennaio ’56, sono soprattutto su Dante; tornato in Italia, gli anni Sessanta intrecciano l’attività politica con la pubblicazione dei grandi saggi su Farinata, Francesca, Pier delle Vigne, etc. e sulla critica dantesca altrui; della centralità di Dante nella sua grande Storia si è detto.

Nel maggio 1865, in occasione delle celebrazioni del centenario dantesco, così sovrabbondante di monumenti e di retorica, De Sanctis scrive alla moglie Marietta: “Sento cantar per le vie: spille di Dante a quattro soldi! Ne ho presa una, come curiosità e memoria. Hanno reso ridicolo Dante. Vendono perfino i confetti di Dante!”.

Ben più duratura delle spille e dei confetti del centenario sarà l’ “eredità diffusa” che il Dante di De Sanctis seppe determinare. Nel 1912, all’Università di Torino, il prof. Umberto Cosmo (una limpida figura di antifascista e pacifista cristiano, desanctisiano d’elezione), supplente di Arturo Graf, svolse il suo corso sul Dante di De Sanctis. Ad ascoltarlo in aula c’era uno studente sardo, Antonio Gramsci. E a Cosmo Gramsci si rivolgerà dal carcere per avere un parere in merito al suo progettato saggio sul Canto X, un lavoro in cui è evidente la lezione desanctisiana, come peraltro sarà desanctisiano l’intero impianto critico-letterario di Gramsci a partire dal nesso (desanctisianamente dantesco) fra letteratura e popolo/nazione.

Ma questo è un altro capitolo della nostra storia.

Raul Mordenti (Roma)

www.raulmordenti.it

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