CAPIRE, RESISTERE, PROPORRE

Elezioni del 22 e legge elettorale (da Facebook)

di Raul Mordenti

Abbiamo fatto di più e meglio di quanto fosse possibile fare, eppure abbiamo subito una sconfitta più grave di quanto fosse possibile immaginare.

Cerchiamo allora di capire, capire anzitutto a quale “gioco” abbiamo perso. Questo “gioco” non si può più definire una libera competizione elettorale nelle forme democratiche della Costituzione. Dico questo per due ordini di motivi, uno che riguarda la legge elettorale e uno che riguarda le modalità attuali della politica.

Le legge elettorale vigente non garantisce affatto che il voto sia *libero ed eguale* come la Costituzione voleva. Basti dire che Meloni, con il 26% circa del voti ha la maggioranza in Parlamento. Appartiene alla psicopatologia il problema di perché mai PD, M5S e LEU (che ne avevano i numeri) non abbiano cambiato questa legge elettorale che (lo sapevamo tutti) garantiva la vittoria sicura della Destra, ma credo che la storia non sarà indulgente neanche verso il Presidente della Repubblica che ha firmato una tale legge, in evidente contrasto con l’art. 48 secondo comma della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”

Il mio voto non è affatto “eguale”, come la Costituzione prescrive, se ci sono dei voti che eleggono, dei voti che non eleggono, dei voti che – per così dire – eleggono più di altri.

Il combinato disposto fra il maggioritario (aggravato enormemente dalla riduzione dei parlamentari) e lo sbarramento deforma in modo sostanziale la competizione elettorale. Non mi riferisco solo al fatto che centinaia di migliaia di voti espressi non hanno alcuna rappresentanza parlamentare, ma la deformazione più grave si verifica a monte: mi riferisco soprattutto alla violenta pressione indotta prima ancora del voto sulla volontà dell’elettore. Se io sono indotto a credere che vince solo chi arriva primo (la logica pazzesca del maggioritario, per cui chi avesse il 49% dei voti non otterrebbe nessun eletto se il suo avversario avesse il 51%), e se mi viene ossessivamente instillato il dubbio che la lista per cui vorrei votare non raggiungerà il 3%, allora è evidente che il mio voto non è affatto “libero”, cioè l’elettore non è affatto libero di far corrispondere il proprio voto alle sue convinzioni e alle sue intenzioni.

La riduzione continua, e davvero gravissima, del numero dei votanti rappresenta – al tempo stesso – il risultato di questa legge e la denuncia della sua natura antidemocratica.

Alle elezioni per la Costituente, svoltesi con la proporzionale, votò l’89% degli aventi diritto, ancora nel 1976 alle elezioni politiche svoltesi con la proporzionale votò il 93%, il 25 settembre 2022 ha votato il 63,9%; e l’astensionismo è in continuo aumento, è aumentato del 9% rispetto al 2018 e del 20% rispetto al 2006. Più di un/a italiano/a su tre non vota, cioè *è fuori dalla democrazia*. Si può definire ancora democrazia una “democrazia dei due terzi”? E tutti sappiamo chi è questo “terzo escluso” dal punto di vista sociale e di classe. A questo terzo – non dimentichiamolo mai! – è da aggiungere il numero cospicuo dei lavoratori e delle lavoratrici senza diritti, cioè senza cittadinanza: al 1° gennaio 2021 erano circa 5,2 milioni di uomini e di donne, che costituiscono l’8,7% della popolazione residente. In sostanza il proletariato, cioè chi lavora (con o senza cittadinanza) è escluso della democrazia italiana. La si può definire ancora una vera democrazia? O non somiglia piuttosto ormai all’antica democrazia ateniese riservata agli uomini liberi (maschi) e fondata sull’esclusione degli schiavi?

L’*astensionismo*, che per noi rappresenta un enorme e drammatico problema, per altri rappresenta invece un risultato positivo, perseguito coerentemente per anni.

Faccio notare che tutte le modifiche introdotte via via riguardo alle elezioni sono sempre andate nella direzione di ridurre il numero dei votanti e il loro potere di scelta: dalla preferenza unica fino all’eliminazione di una giornata per le votazioni (prima si votava sia la domenica che il lunedì), dall’abolizione totale della preferenza nominativa con la scelta degli eligendi affidata alle segreterie di partiti fino alla riduzione massiccia del numero dei parlamentari (con interi territori privati di rappresentanza) e a ostacoli minori (ma significativi) come l’impossibilità per gli studenti fuori-sede di votare, etc. Chi scrive ricorda che proprio negli anni ’70 autorevoli esponenti politici (allora del centro-sinistra) dichiararono che il problema era che in Italia votava…troppa gente. Naturalmente l’attacco decisivo e vittorioso a questo “inconveniente”, cioè che votassero troppi/e, è stato rappresentato dall’attacco al sistema proporzionale.

Il Piano della P2 di Licio Gelli si viene così attuando pezzo dopo pezzo, e il presidenzialismo (cioè la negazione del fondamento stesso della Costituzione: il suo carattere parlamentare) ne sarà il coronamento. La campagna dei media padronali è già cominciata e – naturalmente – si sono già manifestati nel PD vasti consensi a questo ultimo obbrobrio.

Se quanto detto finora riguarda i motivi istituzionali (la legge elettorale soprattutto) per cui il “gioco” in cui abbiamo perso non si può più definire una libera competizione elettorale, esistono anche (e non sono meno decisivi) dei motivi che riguardano le modalità attuali della politica, e specialmente la centralità che assumono in essa i mass media.

Risulta che l’80% degli italiani si informa in merito alla politica solo attraverso la TV, e più precisamente attraverso i telegiornali. Qualcuno aveva dato troppo presto per morta la centralità berlusconiana della TV, in cui peraltro si verifica una sinergia terribile con i giornali (sempre padronali) giacché i direttori di giornali semi-sconosciuti e con pochissimi lettori sono nominati opinion makers nei talk show politici e possono influenzare per questa via l’opinione pubblica. La politica viene fatta così, ci vogliono 100.000 nostri volantinaggi al mercato per cercare di pareggiare (senza riuscirci) l’influenza delle idee (si fa per dire) di un Sallusti, o di un Luttwak. Dalla centralità della TV naturalmente deriva anche l’importanza prioritaria dell’immagine e dei leader, mentre i programmi, i progetti di società e le proposte politiche cadono nell’insignificanza. In un ipotetico confronto fra Antonio Gramsci e Maria De Filippi non ci sarebbe partita: il primo piccolo, gobbo, e con un forte accento sardo, soccomberebbe di fronte alla seconda, esperta di telecamere, bionda e pure donna.

Ma se la politica attuale è questo, *l’esclusione totale* di UP dai mass media equivale a ciò che fu durante il fascismo la messa fuorilegge del PCI.

Sembra che alla fine De Magistris abbia avuto il 3% di presenze nelle interviste (come quella da Vespa, all’una meno dieci di notte, durata cinque minuti, contro i venti minuti concessi agli altri), ma nei TG che – come detto – contano di più, la presenza di UP è stata pari a zero. Qualcuno ricorda le “cartoline” elettorali di Mannoni al TG3? UP mancava sempre.

E i giornali non sono stati da meno: credo che anche i nostri più acerrimi avversari debbano riconoscere che *c’è qualcosa che non va* nella democrazia comunicativa se non è stata data alcuna notizia, ad esempio, di una fiaccolata per la pace svoltasi a Roma con esponenti di spicco del movimento pacifista, e se gli appelli al voto per UP firmati da decine di docenti universitari e da un centinaio di intellettuali ed artisti non sono usciti da nessuna parte, compresi i giornali che i nostri compagni comprano, diventati in campagna elettorale l’uno organo del PD-SI e l’altro organo del M5S.

Ne deriva evidentemente che la costruzione, nei tempi brevi, di una vera autonomia comunicativa della sinistra alternativa e di UP diventa una priorità assoluta: diceva il presidente Mao che un popolo senza fucile non ha nulla, oggi in Italia un popolo senza un giornale, una radio, una Tv non ha nulla.

Ma non è questa l’unica proposta concreta da praticare nell’immediato che deriva dal nostro ragionamento. Se dobbiamo prepararci nel medio periodo a resistere, resistere, resistere a un Governo che accentuerà gli aspetti semidittatoriali già presenti negli ultimi Governi, oggi e non domani dobbiamo avanzare delle *proposte* per campagne di massa che dimostrino come UP continui a fare politica fra le masse e nelle piazze, anche fuori dal Parlamento. Cito solo tre temi, i più urgenti:

1) La *pace*: Una grande manifestazione unitaria per la pace, con una semplice parola d’ordine: “No all’invio di armi! L’Italia si faccia promotrice d pace!”.

2) La *Costituzione*: per una legge elettorale proporzionale, no al presidenzialismo e all’ “autonomia differenziata”.

3) Il *salario minimo*.

Su queste tre proposte debbono tentare di coinvolgere tutte e tutti, chiamando anche M5S e SI a rispettare quanto hanno detto, almeno finché dura ancora nelle orecchie dell’elettorato il suono di quelle promesse elettorali.

Raul Mordenti

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