Presentazione Libro di Pandimiglio all’ISIME

Ringraziamento

Il mio intervento, che in verità non era contemplato nel progetto seminariale di questo incontro fra esperti medievisti, sarà solo di ringraziamento.

Ringraziamento anzitutto all’ISIME e al suo Presidente, Massimo Miglio, il quale non solo ospita questa presentazione ma l’ha voluta fin dall’inizio.

Ringraziamento a Giulia Barone e Nello Pollica, colleghi ed amici di lunga data, che hanno fornito la loro disponibilità, e anzi l’hanno reiterata generosamente una seconda volta, nonostante le circostanze che impedirono nel recente passato questa presentazione.

Ringraziamento alla casa editrice Storia e Letteratura che, nuotando controcorrente (cioè contro le note, terribili difficoltà che attanagliano l’editoria italiana, e tanto più quella di alta qualità culturale), mantiene viva la collana “La memoria familiare”, voluta tanti anni or sono da Gabriele De Rosa (ma su lui, e gli altri promotori e protettori della nostra comune ricerca tornerò fra poco). Nonostante tutte le difficoltà, la collana “La memoria familiare” dedicata ai libri di famiglia giunge ora al suo sesto volume; temo proprio che nessuno di questi libri sarà un best seller, e però oso dire che tutti fanno onore alla qualità sempre splendida della casa editrice fondata da don Giuseppe De Luca e salvata da Federico Codignola: ai due volumi di definizione del fenomeno si sono aggiunti poi quelli dedicati alla pubblicazione filologicamente ineccepibile di due libri di famiglia inediti (i Martelli e i Citone) e ora Leonida Pandimiglio affronta, in modo che credo resterà definitivo, il cuore storico della nostra questione, cioè il libro di famiglia fiorentino, la sua origine, la sua motivazione, la sua evoluzione nei secoli.

Mi sia consentita a questo proposito una sola incursione nel piano dei contenuti, per dire che dopo gli studi di Pandimiglio sembra veramente giunto il momento che la querelle sul concetto e sul sintagma “libri di famiglia” sia considerata definitivamente conclusa e – per così dire – passata in giudicato; tanto forti, persuasive e cogenti sono le motivazioni che Pandimiglio adduce contro lo stanco ma ostinato riproporsi dell’inaccettabile titolazione di “ricordanze” per definire i testi della scrittura familiare. Neanche i fiorentini del Tre-Quattrocento titolano sempre “Ricordanze…” i loro libri di famiglia (semmai tale parola “Ricordanze…” si riferisce a una sola loro parte o sezione) che sono intitolati spesso dai loro autori anche “Ricordi…”, “Memorie…” etc.; senza contare che – come Pandimiglio dimostra – tale titolo è spesso dovuto al… cartolaio e non agli autori scriventi, cioè che “Ricordanze” è spesso presente nella copertina di cuoio del libro già al momento del suo acquisto, e ciò dimostra che la parola si riferisce a un contenuto memoriale generico, non certo limitato ai fatti familiari. Ma soprattutto questa titolazione, riduttivamente fiorentino-centrica, di “Ricordanze” (al contrario di quella di “libro di famiglia”, da noi proposta già nel 1983) non è in grado di definire o descrivere in alcun modo nel suo complesso il fenomeno delle scritture plurigenerazionali che hanno nella famiglia sia il mittente-scriventi (al plurale!), sia il destinatario-lettori (le generazioni discendenti e future), sia infine il principale oggetto e argomento della scrittura, essendo la tesaurizzazione familiare delle conoscenze il vero scopo che le fonda. D’altra parte lo straordinario interesse del fenomeno consiste proprio nel fatto che noi ritroviamo queste precise caratteristiche testuali in secoli diversi (ben dentro il XX, e anzi ora Pandimiglio ci dice anche nel XXI!), in parti d’Italia diverse (praticamente in ogni regione) e adesso anche in parti del mondo diversissime: dai livres de raison francesi (ora studiati massicciamente e sistematicamente nell’ambito del for privé) fino alla famiglia di Thomas Mann rappresentata nei Buddenbrook, dal rabbino romano Citone fra Otto e Novecento fino alla famiglia ungherese di Sandor Marai (un’altra scoperta di Pandimiglio!), per non dire del collega cinese che ci ha segnalato per la nostra banca-dati BILF (la Biblioteca Informatica dei Libri di Famiglia) la presenza, mutatis mutandis, del medesimo fenomeno di libri di famiglia in quel lontano paese.

Anche per questo contributo definitivo alla precisa intitolazione del fenomeno testuale rappresentato dai libri di famiglia, ancora un ringraziamento vada a Leonida Pandimiglio, e alla sua indefessa, tenace, produttiva attività di ricerca, che questo libro dimostra una volta di più.

Mi piace infine anche ringraziare per la loro presenza i più giovani fra i presenti qui oggi, non molti naturalmente, ma davvero graditissimi.

Forse il “clima” – chiamamolo così – dei libri di famiglia, così concentrato sulla conservazione-trasmissione della conoscenza fra le generazioni mi spinge ad alcune considerazioni conclusive sullo stato della nostra ricerca. La ricerca sui libri di famiglia che avviammo tanti anni fa, nonostante i suoi indubbi successi, rischia di concludersi con noi: non è stato infatti ancora possibile che dei giovani studiosi subentrassero nell’Università a quelli della mia generazione ormai sull’orlo della pensione. La scelta gelminiana di precarizzare il lavoro universitario e di poter assumere solo un professore per ogni cinque che vanno in pensione significa semplicemente che chi la ha assunta (e chi non l’ha adeguatamente contrastata) non ha la minima idea di come funziona la trasmissione del sapere, così come ignora il fatto che le linee di ricerca, e il sapere in esse sedimentato, una volta che siano state interrotte poi non è più possibile ricostruirle.

E allora io non posso fare a meno di confrontare la situazione presente dei nostri giovani studiosi con la situazione, davvero felice e fortunata, che si presentò a noi quando cominciammo a cercare di definire e studiare i libri di famiglia. Alberto Asor Rosa (con la cui cattedra di letteratura italiana allora collaboravo) non solo incoraggiò Angelo Cicchetti e me a seguire quella pista (ammettiamolo: assai inconsueta e periferica rispetto ai terreni consueti dell’italianistica) ma ospitò subito il nostro primo sperimentale saggio nella prestigiosa Letteratura italiana Einaudi da lui diretta, e precisamente nel volume III/2 dedicato al Le forme del testo. La prosa. Gabriele De Rosa, con cui personalmente non avevo alcun rapporto né accademico né politico, accolse il nostro tema con vero interesse scientifico e con enorme generosità (anche personale), pubblicò i primi nostri volumi e anzi ci offrì di inaugurare e dirigere una collana presso le citate Edizioni di Storia e Letteratura di cui egli era allora sostenitore e patron; feci così in tempo a sperimentare anche la sorridente ma enorme sapienza libraria dell’indimenticabile Maddalena De Luca, la sorella di don Giuseppe. Della estrema disponibilità di Vittore Branca, di Gianfranco Folena e di Paolo Delogu testimonia nel suo libro Leonida Pandimiglio. E anche dal punto di vista istituzionale quella ricerca sui libri di famiglia fu sostenuta e finanziata, prima dal CNR poi dal Ministero come ricerca di interesse nazionale (ex 40%), in verità con pochi soldi ma per noi del tutto sufficienti a viaggiare per tutta Italia, a schedare e a leggere manoscritti inediti, a metterci in contatto con persone decisive come Fulvio Pezzarossa e Attilio Bartoli Langeli, e perfino a pubblicare per qualche tempo un “Bollettino della ricerca sui libri di famiglia” (ora solo on line dentro la rivista “Testo e Senso” on line) che Leonida Pandimiglio ben ricorda).

E non posso non ricordare che alla base di tutto c’è stato, in un certo senso, Armando Petrucci, non solo per il suo anticipatore libro sulle ricordanze dei Corsini ma per i suoi consigli, i suoi inviti, le “cartuccelle” che così spesso ci passava, con un titolo da consultare, un saggio da leggere, un’idea da sviluppare.

Dunque, come dicevo, capisco forse solo ora quanto sia stata felice e fortunata la nostra situazione e la situazione della ricerca universitaria a fronte di ciò che oggi si prospetta davanti ai nostri giovani colleghi. Tutto ciò provoca in me non solo il rimpianto per non essere stato un maestro paragonabile ai maestri che ho avuto in sorte ma anche la forte speranza che la lunga nottata del nostro paese finisca.

Insomma, sarebbe bello che qualcuno dei/delle giovani presenti provasse a scrivere una nuova pagina sul nostro comune libro di famiglia, magari incoraggiato/a dalla lettura del libro di Leonida Pandimiglio e dal suo esempio.

Raul Mordenti

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