Tre lezioni che ci vengono dalla Francia
Pubblicato il 15 lug 2024 su www.rifondazione.it
di Raul Mordenti*
Ci sono tre aspetti delle recenti elezioni francesi che, credo, possono insegnarci qualcosa: la centralità dell’antifascismo, la necessità delle alleanze, il tentativo di costruire un nuovo blocco sociale.
Contro ogni sottovalutazione (che avvertiamo spesso anche a sinistra), l’antifascismo si conferma un elemento basilare e permanente per ogni politica anticapitalista, e tanto più per i/le comunisti/e. L’opposizione antifascista alla Le Pen ha segnato una grande vittoria, sbarrando la strada a un Governo del RN e impedendo in Francia quella tendenziale unificazione di tutte le destre, sotto l’egida della guerra NATO, che in Italia si è verificata.
La necessità di una intelligente politica di alleanze è la seconda lezione francese. Certo nel Nuovo Fronte Popolare con LFI e PCF ci sono anche i Verdi e i socialisti di Raphael Glucksmann (che in Italia corrisponderebbe a qualcosa di mezzo fra Renzi e un Giuliano Ferrara più magro), e sarebbe ingeneroso notare come nel programma del Fronte ci siano parti relative alla guerra in Ucraina per noi francamente inaccettabili. Ma la lezione resta: la tattica elettorale ha delle sue necessità ed evidentemente è apparso prevalente ai compagni francesi, nella situazione data, concordare un programma avanzatissimo sul terreno sociale (pensioni, salario minimo, tasse sui profitti, limiti alla violenza poliziesca etc.).
Certo, fa sorridere (se non facesse piangere) il tentativo di intestarsi la vittoria francese da parte di chi, in Italia, ha considerato un tradimento del comunismo qualsiasi alleanza con chiunque, e perfino sul tema cruciale della pace, un’alleanza elettorale con limpidi pacifisti storici come Santoro e La Valle.
Il settarismo e l’opportunismo vanno spesso braccetto, e le bugie fanno da necessario collante fra le due cose. Ad esempio dare colpa a Rifondazione per la fine di UP, la quale invece è tutta da mettere in conto ai veti irremovibili di Pap, veti settari perfino alla partecipazione di UP a manifestazioni della CGIl, o dell’ANPI, e infine veto alla Lista per la pace (tranne poi dare indicazione di voto per AVS, col bel risultato di mandare a Bruxelles chi si appresta a votare Ursula Von der Leyen!). Eppure in uno strano documento sulla “rana bollita” che gira in questi giorni senza firme (forse l’anonimato è una forma di pudore) si legge a proposito di UP: “prima che Rifondazione operasse per la sua rottura” (sic!). E perfino la sacrosanta partecipazione di Rifondazione all’alleanza promossa dall’ANPI per la difesa della Costituzione o alla raccolta di firme della CGIL per abrogare il job’s act renziano viene descritta come un “cambio di linea politica” rispetto alla purezza dell’alternativa e come “un rientro nell’alveo del centrosinistra”. Anzi di più: la politica unitaria di Rifondazione viene presentata dall’anonimo autore della “rana bollita” come un losco trucco dei nostri dirigenti per abituare i compagni pian piano (come la rana nella pentola) all’approdo nel centro-sinistra, e senza neppure dirglielo. Ma si può discutere così fra compagni/e, a colpi di sospetti e di calunnie?
Ciò che sfugge completamente all’estremismo è che le alleanze sono e debbono essere anche variabili, si configurano come cerchi diversi e concentrici: sulla pace si può concordare con papa Francesco, senza per questo sposare i dogmi cattolici; in un cerchio di alleanze ancora più vasto si può partecipare alla lotta comune contro ogni autonomia differenziata o il premierato anche con la Schlein (se finalmente il PD ha cambiato linea su questi temi) senza per questo essere accusati di tradimento; così come si può sostenere i referendum della CGIL senza essere d’accordo con le politiche concertative del Sindacato, e così via.
Questo dovrebbe valere anche per le elezioni amministrative in cui le differenti situazioni possono condurre i/le comunisti/e locali a compiere scelte diverse che, proprio per la diversità dei casi concreti, possono anche essere tutte legittime (non è la stessa cosa avere a che fare direttamente con la mafia a Palermo o poter disporre di un consigliere uscente da confermare a Firenze, o doversi misurare in Sardegna con il folle sbarramento al 10%, e così via).
L’importante è mantenere sempre l’autonomia politica, ideale, programmatica e organizzativa di Rifondazione, e per ipotesi rafforzarla. Ma una tale autonomia non ha nulla a che fare con l’immobile arroccamento identitario incapace di qualsiasi tattica e di qualsiasi alleanza tattica. Anzi l’arroccamento settario è il contrario di qualsivoglia autonomia perché conduce all’estinzione del Partito. Lo studio della storia del nostro movimento comunista (uno studio che sembra essere andato del tutto disperso) credo che ci aiuterebbe a capire bene la differenza che c’è fra autonomia politica comunista e arroccamento settario, fra Lenin, Gramsci e Togliatti da una parte e Bordiga e i suoi emuli nostri contemporanei dall’altra.
Ma la terza lezione che ci viene dai compagni francesi è la più importante. Ci parla della costruzione di un nuovo blocco sociale rivoluzionario che unisce (o comincia ad unire) la classe operaia tradizionale ancora organizzata dalla CGT, alle nuove generazioni del lavoro precario, all’insorgenza delle piazze come i Gilets Jaunes del 2018-19, e soprattutto ai figli o ai nipoti degli ex migranti e delle ex colonie del Maghreb. Questo finora non era mai avvenuto, e neanche nelle grandi manifestazioni contro la “riforma” delle pensioni si era vista la fusione di questi diversi settori, fra i quali l’ultimo (i nuovi francesi figli o nipoti degli ex migranti) appare quello davvero decisivo. Si calcola che l’80% di questi abbia votato per il NFP. È vero che nella versione francese il neofascismo è fortemente venato di razzismo (vedi la proposta infame del RN di escludere dagli impieghi pubblici i razzialmente “impuri”), ma anche noi abbiamo il fenomeno Vannacci (500.000 preferenze!) che forse abbiamo finora sottovalutato e che invece va preso molto sul serio.
A me sembra che in Italia quasi nulla abbiamo fatto in questa direzione, a parte splendide quanto isolate iniziative di alcuni circoli di Rifondazione. Eppure i migranti e gli ex-migranti sono la nostra classe.
Discutere seriamente come giungere a organizzare e unire il nuovo proletariato nella sua attuale e inedita configurazione dovrebbe essere al centro della nostra iniziativa politica, e intanto discutere di questo in vista del Congresso alzerebbe il livello del nostro dibattito interno (che ne ha molto bisogno).
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