di Raul Mordenti
I. Dell’apocalisse, non si può parlare che al futuro, giacché essa configura la situazione della fine di tutto, in cui nessun presente sarà più dicibile. Per questo l’apocalisse è così strettamente legata alla escatologia e alla profezia.
Eppure c’è un momento liminare il cui l’apocalisse si fa presente, un momento paradossale, come quello (breve e altamente drammatico) che nella esperienza umana si definisce “punto di morte”. In verità ciò che rende presente l’apocalisse non è l’evento della fine in quanto tale ma sono solo i suoi segni, segni premonitori, segni ambigui, segni nascosti, che si tratta, appunto, di s-velare; è questo il vero senso della parola, dal greco apo-kálypsis (ἀποκάλυψις), che significa levare ciò che copre, dunque, letteralmente scoperta o disvelamento, rivelazione. In questo senso il profeta apocalittico è l’ermeneuta del presente, che egli sa interpretare superando lo sguardo miope del quotidiano senso comune (cioè del con-senso). I segni del presente che interessano il discorso apocalittico sono i segni della fine che è contenuta e preparata dall’oggi, esattamente come un ventre gravido contiene e prepara il suo frutto. (altro…)